PERFEZIONE O PRECISIONE ?

Scritto per il n° 135 di Brescia MUSICA,  Ottobre 2013

La ricerca della perfezione si impone sulla ricerca della precisione” , 

“Non certo l’interpretazione più precisa, ma dannatamente ispirata

Queste due affermazioni sono: del pianista boemo  Rudolf  Serkin la prima, e  della pianista giapponese Mitsuko Uchida la seconda. La Uchida, dopo la morte di Serkin, ne divenne il successore alla guida della Marlboro School and Festival. La sua affermazione era riferita ad una esecuzione della Fantasia per pianoforte, coro e orchestra in Do minore op. 80 di Ludwig van  Beethoven in un concerto di fine corso.

La Marlboro Music School and Festival è una sorta di rassegna di musica da camera e scuola di perfezionamento estiva per giovani talenti. La scuola non ha la fama che potrebbe avere proprio per la volontà dei suoi fondatori di “creare una comunità quasi utopica”,  dove, come sostiene il critico musicale statunitense Alex Ross, “ gli artisti potessero dimenticare ogni aspetto commerciale e fuggire in un regno puramente musicale”.

Ora, vorrei parlare di bande. 

Ma prima è il caso di soffermarsi sui significato dei termini: perfezione e precisione

Nel contesto citato perfezione vuole indicare quella magia che si crea quando un gruppo di persone suonano insieme con sintonia ed unità di intenti, senza tralasciare quella libertà interpretativa individuale indispensabile per motivare l’esecutore. Ogni musicista condiziona l’altro con la propria interpretazione creando nello stesso tempo un’unità stilistica. Quando c’è la volontà di farlo e con l’aiuto del direttore (se tale figura è prevista), in osmosi con il pensiero dell’autore. 

Con il termine precisione, invece, si vuole indicare una esecuzione corretta; non una nota sbagliata, intonazione ottima, cosi come la precisione ritmica, ma povera di espressione. Senza quelle piccole sfumature dinamiche e agogiche, senza quegli slanci emotivi che, se da una parte  rischiano di incrinare il bilanciamento, l’intonazione e il timbro, dall’altra sono il sale dell’interpretazione. 

È fuori discussione che unire la perfezione alla precisione sarebbero l’ideale, ma quello che mi preme qui, è sottolineare l’importanza che fin dal  primissimo approccio allo studio di un brano musicale ci sia l’aspirazione alla perfezione; viceversa si rischia di smarrirsi nell’arido labirinto della precisione

Vorrei parlare di Bande in quanto la svolta decisa verso la ricerca della precisione a scapito del volontà alla perfezione ha superato, a mio parere, i limiti di guardia. 

I concorsi e gli stage: eventi che hanno aiutato e aiutano la nostra  realtà bandistica ha migliorarsi e ha evolversi, hanno degli effetti collaterali che probabilmente non sono stati valutati. Questi effetti che stanno danneggiando quasi  irrimediabilmente diverse generazioni di bandisti; come una medicina di cui se ne è esagerato l’uso. Siamo in perfetta salute ma continuiamo ad assumere farmaci. Quando cominceremo ha comportarci come persone sane? Fuor di metafora; quand’è che cominceremo a suonare e ascoltare la musica con l’entusiasmo e la curiosità che contraddistingue gli artisti; perché è questo che siamo.

I concorsi per loro natura misurano sopratutto la precisione di una esecuzione, con il conseguente effetto, nel corso degli anni e magari dopo qualche concorso,  di configurare  una forma mentis dove predomina l’equazione; suonare bene = essere precisi, negandoci così il piacere della ricerca della perfezione. In pratica; immaginate un direttore che fin dalla prima prova ferma  e “bacchetta” la banda continuamente ogni volta che sente una nota sbagliato, un problema di intonazione, o di bilanciamento, questa banda; in quanto banda cioè formata da abilità non omogenee si irrigidirà, e intimorita rinuncerà alla ricerca della perfezione.  

Ricapitolando: ho già avuto modo di dire, sempre su queste pagine, come negli ultimi decenni il mondo bandistico nostrano sia migliorato, tanto da aver raggiunto, nella media, il livello qualitativo del resto d’Europa. Purtroppo, con la complicità dei concorsi, ho l’impressione che ci stiamo correndo il rischio di sbilanciarsi nella ricerca della  precisione a scapito della  perfezione. I concorsi, appunto, grandi protagonisti della rinascita delle nostre bande, sono anche colpevoli di un appiattimento esecutivo che non va taciuto. Quando dico appiattimento non intendo un’ omologazione della prassi esecutiva, ma una vera e propria dimostrazione di inibizione espressiva, per intenderci; da disco pubblicitario delle case editrici per banda, con l’aggravante che a differenza dei CD incisi dai professionisti noi in quanto bande;  non avremmo neanche la loro precisione.

Una delle rarissime volte che un gruppo in un concorso è riuscito ad emozionarmi, non è neanche salito sul podio: forse il direttore avrà osato interpretare? Avrà cercato di essere perfetto nella sua esibizione a scapito della precisione e la sua interpretazione non sarà stata “l’interpretazione più precisa”, anche se “dannatamente ispirata”?.

La questione, chiaramente, è più complessa e va a toccare delle corde delicate, ma penso sia giunto il momento di affrontarle:

Una ventina di anni fa lessi una recensione di un pièce teatrale; il mio primo pensiero allora fu: “Questa è la fotografia del mondo bandistico” o almeno, quello che stavo vivendo io in quel periodo. Quando nel libro di Alex Ross “Senti questo” ho letto le affermazioni che ho citato all’inizio, per contrasto la mia mente mi ha riportato alla recensione teatrale che avevo letto.

Quanta leggerezza e gioia nel rapportarsi con la musica si respira fra le aule del campus descritto  da Ross nel suo libro. Quanta cupezza e mestizia invece si intravedeva nella vicenda teatrale.  

Il soggetti dell’opera  erano un’orchestrina circense e il suo direttore; il quale  imponeva  giornalmente agli strumentisti lo studio del quintetto di

Franz Schubert; “La trota”. Il direttore, studiando un capolavoro di musica “pura”, voleva  con la sua orchestrina  raggiungere le alte vette interpretative meta di qualsiasi musicista. Traguardo sicuramente nobile, ma  con l’approccio completamente sbagliato. Confondendo il rigore interpretativo con la ricerca della precisione assoluta infliggeva ai suoi orchestrali delle prove durissime.  Il tirannico direttore però, con la sua ossessione, uccideva giorno dopo giorno  l’entusiasmo di suonare, di esprimersi, della voglia di “farsi sentire”; in ultima analisi uccideva l’aspirazione  alla perfezione dei suoi musicisti (di tutti i musicisti) in nome della precisione.

Non può esserci niente di più distante da un capolavoro cameristico, a dei brani musicali che comunemente, nell’immaginario collettivo, si collegano al circo. Il contrasto, naturalmente, non è stato casuale; contrapporre un opera cameristica

alla musica circense (non certamente quella dei grandi circhi moderni) vuol chiaramente mettere in evidenza la distanza che esiste fra una musica ispirata e una musica di intrattenimento. Sopratutto il tentativo molto comune di chi sente il desiderio di “andare oltre”, ma non avendone i mezzi confonde il contenuto con l’involucro. Una metafora dunque del tentativo maldestro dell’uomo di raggiungere un senso di pienezza della vita usando atteggiamenti e formule rituali senza sviscerarne veramente il significato. Un atteggiarsi ad essere, concentrandosi sulla forma (precisione) e non sulla sostanza (perfezione). Come se io volessi essere un pilota di aerei di linea e il mio tentativo per  esserlo si limitasse a indossarne la divisa e  copiarne gli atteggiamenti. Nella vita non ci è permesso essere dei dilettanti: siamo tutti professionisti. Tutto sta non in quello che facciamo, ma come lo facciamo; inteso come la disposizione mentale con la quale affrontiamo un’attività. C’è più arte e musica in una canzonaccia suonata con il cuore, utilizzando i mezzi che si hanno a disposizione (pensate  all’intonazione e alla qualità del timbro delle prime incisioni Dixiland o alla musica balcanica suonata dalla band di Bregović), che in certe esecuzioni ingessate di musica classica. 

Tornando al pièce teatrale, io credo che il direttore si sarebbe avvicinato di più alla sua meta lasciando più  libertà ai propri orchestrali e con l’aiuto di Schubert guidarli su strade interpretative poco praticate. 

Questo, a mio parere,  rischiano le bande: una ricerca quasi spasmodica, per la precisione a scapito della perfezione. Il punto forte delle bande è sempre stato l’aspirazione alla perfezione, se questa viene meno, viene meno la banda. Il bandista non deve avere la patente, o meglio ancora, l’abito o gli atteggiamenti del professionista per sentirsi in diritto di tirar fuori il meglio di se; il diritto ce la comunque, è  questa la consapevolezza che darebbe nuova linfa vitale al mondo bandistico. Purtroppo, la linfa che si trova più facilmente oggi è quella dell’antagonismo di matrice sportiva.  

Ora per sgombrare il campo ad equivoci; tengo a precisare che questa mia riflessione non vuole essere un elogio al pressapochismo: i direttori che aspirano  alla precisione, non solo ne hanno il diritto: ne hanno il dovere.

Del resto tutto “l’indotto” bandistico è con loro; il lavoro dei compositori e delle Case Editrici Musicali europee che un po’ per amore un po’ per necessità, sull’esempio statunitense, hanno creato dei repertori mirati che facilitano non poco il lavoro di concertazione. Queste composizioni risolvendo già a monte problemi di intonazione e di bilanciamento, e riducendo al minimo indispensabile le difficoltà tecniche per gli strumentisti. Ogni banda in relazione alla propria abilità può accedere ad un repertorio adeguato; i famosi livelli.  Bisogna sottolineare che la realtà americana dagli anni cinquanta ha iniziato questo lavoro per andare incontro alle esigenze della scuola, che già allora proponeva orchestre a fiato nei vari stadi del loro sistema scolastico.

In realtà l’editoria italiana e europee in generale si può  permettere una maggior elasticità, in quanto noi abbiamo le  bande, e non le orchestre a fiato scolastiche (numericamente parlando, le nostre orchestre a fiato liceali, o realtà semi professionali, per ora, non sono significative a tal riguardo). Solo le bande giovanili nostrane, in quanto formate da ragazzi in fasce d’età abbastanza omogenee possono, in questo senso,  avvicinarsi alla tipologia statunitense e giapponese.

Ci sono dei limiti, non possiamo negarlo; il compito dei direttori è spostare questi limiti sempre più in alto, ma mai a discapito della ricerca della perfezione; tenendo presente però che ad ogni livello di consapevolezza e ad ogni età corrisponde un livello di perfezione.  Se ad un bambino alle prime armi con uno strumento musicale, gli si facesse capire la distanza che lo separa dal suonare veramente bene, probabilmente questa consapevolezza lo schiaccerebbe togliendoli l’entusiasmo e la fiducia nelle proprie possibilità. Negandogli di fatto la possibilità di studiare serenamente la musica che, non scordiamolo, non è mai il fine, ma è il mezzo; il mezzo per esprimere l’inesprimibile, per sondare aspetti della nostra personalità che probabilmente rimarrebbero nascosti. Un mezzo per guardare oltre. 

Le due frasi citate all’inizio rappresentano la filosofia ispiratrice della scuola di perfezionamento; sarebbe bello, a mio parere, che lo diventassero anche per la Bande e per tutte quelle persone che suonano per passione. 

Un altro effetto collaterale legato ad una troppo frequentazione con concorsi e stage è la nascita di una nuova forma mentis  fra i bandisti:  

Voglio chiedere e chiedermi; perché si fa e si ascolta  musica? Il pubblico meno esperto, in genere, ascolta musica per provare emozioni e/o divertirsi (dipende dal genere di musica)  grazie alla bellezza delle melodie alla varietà dei timbri, nel “contenuto” dell’opera musicale che ascolta. Un pubblico più preparato  può apprezzare lo sviluppo formale dell’opera, il colore sonoro del gruppo o dell’orchestra, il bilanciamento che può rendere la musica trasparente, il fraseggio, l’uso virtuosistico delle dinamiche, in poche parole; una buona interpretazione. Sono due tipi di ascolto che possono, anzi, devono fondersi insieme. Ma, se ad un concerto bandistico fra il pubblico c’è chi suona in una banda “impegnata”e “seria”; state tranquilli,  questo tipo di pubblico non ascolterà la musica, ma la banda, precludendosi così la possibilità di farsi catturare dalla magia dei suoni organizzati. Diciamolo pure; fra gli addetti ai lavori questo è inevitabile, anche perché, diciamo  pure anche questo; a forza di rendere i brani musicali più “precisibili”  possibile (licenza poetica) se li è  svuotati di sostanza “perfezionabile.

La conseguenza è di rendere l’ elemento interessante non  la musica; in quanto “l’espressione che meglio raccorda l’umano al divino” (Socrate), ma quanto è stato più o meno preciso chi la suona. 

Mi sono sempre chiesto, in più occasioni, come mai dopo la fine di un concerto solo i musicisti professionisti che hanno partecipato all’esecuzione fanno commenti positivi, mentre i dilettanti ne trovano mille difetti. Sono arrivato ha queste due ipotesi:

1) I musicisti professionisti riescono a percepire meglio la perfezione dell’esecuzione, e ne capiscono pienamente l’importanza nell’economia di una buona interpretazione e per questo la tengono in grande considerazione.

2) Al pubblico arriva il suono dominante, cioè la fusione di tutti i suoni individuali, che in genere è migliore dei singoli suoni, per capirci meglio; se io sbaglio una nota, il mio vicino lo sente ma  non è detto che sia così anche per il pubblico. Come sostiene Helga de la Motte – Haber nel suo libro “Psicologia della musica”: due suoni non si mescolano fra loro ma il più forte coprirà il più debole, se il più forte è il suono giusto, al pubblico arriva il suono “giusto”. Questo è il motivo del perché basta avere qualche esterno (rinforzi esterni all’organico reale della banda) al posto giusto per trasformare il suono, il ritmo e l’intonazione di una banda (precisione). Più difficile avere gli stessi risultati con l’interpretazione (perfezione). 

Hardy Mertens qualche anno fa sosteneva, come ricordavo tempo fa  su questo giornale, che il popolo bandistico olandese era diventato una massa di criticoni; beh, noi li stiamo seguendo, d’altra parte come potrebbe essere diversamente, ribadisco; i numerosi concorsi sparsi un po’ ovunque  impongono, per forza di cose,  un’attenzione particolare sulla precisione delle nostre esecuzioni. 

A quando lo stesso interesse per la perfezione?

 “La musica (l’arte) è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai professionisti”.

Ottobre 2013

Giuliano Mariotti