Io intono, tu intoni, egli…

Scritto nel Marzo del 2018 per il n. 159 di Brescia Musica

Premessa

È da tempo che volevo affrontare le problematiche legate all’intonazione delle bande musicali, ma consapevole delle mille sfaccettature del problema ho sempre rimandato. 

Anni fa, quando la sezione italiana della WASBE (World Association for Symphonic Bands and Ensembles) era molto attiva, l’intonazione delle bande” fu l’ordine del giorno in una delle riunioni annuali dei soci. L’iniziativa produsse una serie di documenti interessanti:  in queste relazioni si elencavano delle strategie da adottare per migliorare  la situazione.

Io ero alle prime armi e mi limitai a leggere con attenzione il lavoro altrui. Oggi, grazie allo spazio che mi è stato dato su questo giornale vorrei, con anni di ritardo, dare il mio contributo.  

Non credo si possa parlare delle bande italiane  come di una realtà omogenea, ma grazie alla piattaforma web You Tube, e/o alla frequentazione di Rassegne e Concorsi nazionali ed internazionali possiamo dire che l’intonazione generale che esprimono la maggioranza delle bande, ormai da anni, si è stabilizzata su un buon livello.

Molti sono i fattori che hanno contribuito a raggiungere questo risultato: 

• Scuole di musica bandistiche sempre meglio strutturate  e con insegnanti qualificati.

• Direttori più preparati, grazie ai numerosi corsi di direzione attivati in tutto il paese, e alle maggiori opportunità di confronto con altre realtà; espressione questa di una vitalità costante del mondo bandistico nazionale.

• La partecipazione sempre maggiore delle bande a Concorsi e Rassegne; eventi che contribuiscono ad aumentare l’impegno degli strumentisti.

• L’impiego di strumenti musicali di migliore qualità;

• Un repertorio sempre più mirato a facilitare una buona esecuzione: Le case editrici musicali  per banda, in diversa misura da nazione a nazione, impongono agli autori determinati parametri per quanto riguarda il linguaggio, la strumentazione, e sopratutto i limiti di estensione per i vari strumenti. Queste “linee guida” garantiscono una maggior facilità di concertazione e di esecuzione. Garantendo perciò una performance di buona qualità su tutti i livelli (i limiti artistici che questi criteri impongono sono effetti collaterali non sempre giustificabili; ma questa è un’altra storia). 

• L’utilizzo da parte di molte bande degli  “studi collettivi” (ne esistono numerosi e di diverso tipo in commercio), questi studi sono basilari per affrontare in maniera più mirata le varie problematiche legate alla concertazione.

Tutto bene all’ora! Si, sicuramente, ma si può e si deve migliorare ancora. 

Il fulcro del problema, a mio parere, è un altro ed è  nella sua ovvietà che sta la complessità della soluzione: 

i componenti che formano una banda musicale sono per definizione dilettanti (escluse naturalmente le grandi bande militari), ed in quanto tali dedicano solo il loro tempo libero all’attività che li diletta. L’obbiettivo dunque deve essere l’ottimizzazione del tempo, concentrandosi, una volta individuata la radice del problema sulla sua soluzione.

L’intonazione  è legata inevitabilmente al nostro rapporto fisico con lo strumento, che trova nell’uso corretto della respirazione l’aspetto più delicato e di conseguenza più sensibile alla stanchezza e alla tensione emotiva, la quale come sappiamo cresce esponenzialmente in rapporto alle difficoltà dei passaggi ostici ed esposti.

La mancanza di un adeguato allenamento, inoltre, fa si che ci si stanchi  presto (anche perché in quanto dilettanti gli strumentisti hanno lavorato o studiato durante il giorno) e  quando si è stanchi salta “la buona impostazioni”, “la corretta respirazione”  e si comincia  a percorrere le varie “scorciatoie” per affrontare  le note alte o le dinamiche estreme (si morde o si preme per il Piano, si apre di più la bocca o non si preme nella maniera necessaria per il Forte).

Tutte  abitudini queste che vanno ad influire sull’intonazione e sul timbro della banda. Prova dopo prova questi atteggiamenti si sclerotizzano andando poi ad incidere in maniera permanente sul suono e sull’intonazione del complesso strumentale. Non a caso nei concorsi dove si confrontano fra loro (ahimè) Bande e Orchestre a Fiato, dalla qualità dell’intonazione e del timbro della  prima nota, si capisce già che tipo di gruppo strumentale stiamo ascoltando.

Altri punti particolarmente deboli nelle esecuzioni bandistiche, per quanto riguarda l’intonazione, si verificano quando si ha un eccessivo rilassamento nell’affrontare passaggi in secondo piano, note lunghe, ostinati ritmici ecc..

In qualsiasi caso, due sono i momenti dove emerge maggiormente il problema: il primo è nell’attacco, o come preferisco chiamarlo, pronuncia del suono: l’aria emessa raggiunge la giusta pressione in ritardo rispetto all’attacco, oppure è troppo “esplosiva”;  tra l’altro questa è la ragione per cui  le note corte isolate, le cosiddette “strappate”, sono difficili da intonare. In entrambi i casi la ragione di questo tipo di pronuncia è la mancanza di pressione nel fiato prima dell’attacco.

Il secondo caso lo troviamo nelle dinamiche estreme: nel piano i legni tendono a crescere e gli ottoni a calare, mentre nel forte  è esattamente il contrario (in passato questo giornale aveva già trattato il problema). Escludendo le piccole imperfezioni che ogni tipo di strumento a fiato presenta (per l’intonazione solo il trombone a tiro, nella sua semplicità meccanica, si può avvicinare alle potenzialità degli archi), tutti questi problemi si possono migliorare solo ed unicamente imparando ad usare e gestire nelle varie difficoltà tecniche e emotive la respirazione diafframmatico – addominale.

Questo tipo di respirazione, se ben applicata, contribuisce in maniera fondamentale al corretto utilizzo della parte del corpo che più influenza la qualità dell’intonazione: L’imboccatura.

Riassumendo, credo di poter affermare che la chiave del problema sta nella corretta respirazione e nel conseguente impiego rilassato dei muscoli coinvolti nell’imboccatura.

Cosa fare dunque per far si che questa “buona pratica” diventi l’obiettivo principale di chi si diletta con la musica? Prima di tutto parlandone, ma  sopratutto spostare le priorità negli obiettivi delle scuole di musica: non solo tecnica manuale, ma  particolare attenzione all’insegnamento della respirazione diaframmatico – addominale e al giusto  approccio fisico sullo strumento ai fini di facilitarne l’apprendimento corretto.

Le diffuse scorciatoie, per arrivare prima all’obbiettivo tecnico sacrificando sull’altare dell’abilità manuale il timbro (bel suono), e l’intonazione sono da evitare.  Fatto questo, ci sarebbero poi delle “cattive abitudini” da sfuggire:

L’uso eccessivo dell’intonatore:  non conta essere intonati con l’intonatore, bisogna esserlo con chi sta suonando con noi. Come ho già ricordato, gli strumenti a fiato sono strumenti imperfetti, e ogni tipologia di strumento ha i suoi punti deboli nell’intonazione: la conseguenza è, che non sempre l’intonazione “giusta” è quella buona.  

Le prove eccessivamente lunghe  che finiscono in orari proibitivi; come ho già detto, è nella stanchezza che si coltivano le cattive abitudini: la muscolatura stanca favorisce posture scomode che limitano una buona respirazione favorendo così imboccatura ed emissione scorrette.

• evitare, anche se lo si fa con tutte le buone intenzioni, di dire continuamente ai vicini durante le prove o i concerti che “quella nota” è crescente  o calante, questo genera nell’immediato solo un risultato: inibire maggiormente le persone coinvolte precludendo, o rendendo più difficoltosa, la situazione psicofisica ideale per essere ben intonati. 

Quello di cui il bandista ha meno bisogno, oltre che a prove pesanti protratte in orari estremi,  è un ossessiva ricerca di un intonazione “perfetta” da parte del maestro e dei “ben intenzionati”. 

Non vorrei essere frainteso e ribadisco : la cattiva intonazione è e rimane il “problema” delle formazioni bandistiche,  di conseguenza va affrontato con il massimo dell’impegno, ma a mio parere con più consapevolezza.

Permettetemi di spiegare l’utilizzo del termine consapevolezza e la virgolettatura del “perfetta”: 

La  ragione è il temperamento equabile della scala musicale che da circa tre secoli viene adottato dalla musica occidentale.

Nell’ Allorto, chi ha frequentato il Conservatorio prima della riforma attuale sa di cosa parlo, per gli altri ecco una breve spiegazione: Riccardo Allorto Storia della Musica, una storia della musica molto sintetica ma ben fatta, strutturata in 32 tesine con due appendici, una sulla musica del XX secolo e l’altra sull’acustica.

Due di queste tesine, appendici comprese, venivano sorteggiate per l’esame di storia della musica nei Conservatori Italiani. 

Nella IIª appendice si dice, parlando del temperamento equabile della scala musicale, “La semplificazione che la teoria in tale maniera conseguiva   fu di grande vantaggio per la musica perché agevolò la tecnica strumentale e rese possibile ai compositori di scrivere in tutte le tonalità maggiori e minori: il che fu sperimentato per la prima volta da J.S. Bach nel primo (1722) e nel secondo libro (1744) del Clavicembalo ben Temperato contenente preludi e fughe da eseguire su un clavicembalo accordato secondo il temperamento equabile (il quale permetteva perciò l’impiego di tutti i dodici toni, maggiori e minori).

Alcuni inconvenienti, tuttavia, li presenta anche il sistema temperato: tutti i suoni rispetto a quelli della scala naturale, sono leggermente crescenti o calanti…

Le considerazioni sulla scala temperata si concludono con: La pratica musicale moderna contempla tanto l’uso della scala temperata quanto della scala naturale. Adottano la prima gli strumenti a suono fisso, la seconda gli strumenti a fiato in ottone, entrambe le scale gli strumenti a fiato in legno e gli strumenti ad arco.

Dunque si può affermare che, a parte l’ottava e l’unisono, ogni altro intervallo ha dei margini di tolleranza che dovremmo considerare nel classificarne la qualità dell’intonazione (è risaputo che quando in una triade maggiore la terza è leggermente calante secondo la suddivisione temperata dell’ottava, l’accordo risulta più luminoso e caldo)

Non ho la competenza matematico/scientifica necessaria per parlare in maniera esaustiva delle varie tipologie di scale che hanno preceduto la scala temperata (l’argomento è già stato ben esposto sulle pagine di questo giornale  anni fa), ma, per capire meglio la situazione dell’epoca vorrei citare qualche frase del  bel libro di Stuart Isacoff: Temperamento – Storia di un enigma musicale, (edizioni EDT).

“Per centinaia di anni ogni tentativo di mettere in pratica il moderno sistema di accordatura fu recepito come una provocazione: musicisti, artigiani, uomini di chiesa, capi di stato e filosofi si opposero energicamente all’adozione di questo temperamento equabile, considerandolo innaturale e sgradevole.

Quando Vincenzo Galilei (1520 – 1591), padre di Galileo, sostenne l’idea nel lontano 1581, si trovò presto coinvolto in una contesa con Gioseffo Zarlino (1517 – 1590), uno dei più accreditati teorici della musica dell’epoca”. Giovanni Keplero (1571 – 1630), astronomo e teorico della musica, molti anni dopo fu ancora più esplicito nell’affermare la legittimità della scala naturale costruita rispettando le antiche leggi matematiche : “ La geometria precede la creazione delle cose, è eterna come lo spirito di Dio, la geometria è Dio stesso” e “ L’armonia musicale è la geometria percepibile ai sensi.

Tra l’altro, da queste dichiarazioni si deduce che, secondo Keplero, la musica è una della rappresentazioni di Dio percepibili dall’uomo (una buona considerazione della musica!).

“ Di pari passo con l’evoluzione dell’arte musicale si andò formando un paradosso allarmante… .se clavicembali e organi venivano accordati per rispettare fedelmente una di queste venerabili formule, essi diventavano del tutto inadeguati a riprodurre le altre….e dunque, certe combinazioni di suoni che avrebbero dovuto suonare dolci e consonanti risultavano spesso, sugli antichi strumenti a tastiera, stridenti e dissonanti.

Nella loro ricerca di una soluzione i musicisti cominciarono a temperare, cioè ad alterare lievemente, l’accordatura dei loro strumenti, allontanandosi dagli antichi ideali. Il compromesso finale – l’odierno temperamento equabile – abbandonava decisamente le proporzioni (matematiche) fissate nell’antichità”. “Non fu un passo facile. I critici lamentavano la dolorosa perdita della bellezza e dell’impatto emotivo della musica. Le discussioni non si limitavano a questioni di estetica musicale.

Il temperamento equabilerappresentava un attacco a un’idea che, in quasi in ogni campo del sapere, aveva affascinato i pensatori in quanto potente metafora di un universo regolato da leggi matematiche…Keplero ritrovava nelle proporzioni musicali le regole che governano il moto dei pianeti, e Isaac Newton accostava le relazioni tra le note definite da queste proporzioni allo spettro di colori in cui si scomponeva un raggio di sole rifratto da un prisma.

Le preziose proporzioni musicali permeavano non solo i luoghi sacri, ma anche le botteghe di grandi artisti come Filippo Brunelleschi e Leonardo da Vinci. Esse finirono per contribuire alla ricerca scientifica, stimolando l’immaginazione di luminari come Galileo, Keplero, Descartes, Newton e Christiaan Huygens. Alimentarono i dibattiti tra gli enciclopedisti francesi, mettendo alla prova le capacità dialettiche di Denis Diderot, Jean-Jacques Rousseau, Jean d’Alembert e Jean – Philippe Rameau su questioni quali: che cos’è l’arte? E la verità? E che cosa si intende con il termine naturale?

È sicuramente vero, però, che  “dall’accettazione generale del temperamento equabile derivò parte della musica più bella mai composta”.

Possiamo dire che le argomentazioni di chi si  opponeva al temperamento siano tutte sbagliate? Credo di no, ed è per questo motivo che mi schiero con Riccardo Allorto quando dice che la pratica moderna (credo intendesse dal Clavicembalo ben Temperato in poi) contempla l’uso sia della scala temperata che della scala naturale

Credo si possa affermare che, in ogni esecuzione strumentale, sopratutto se è coinvolto anche uno strumento a intonazione fissa (tastiera, piastre o pizzico), si assiste ad una lotta, non necessariamente consapevole, fra scala temperata e scala naturale dove ogni strumentista, se ben educato e non soggetto da paranoie indotte da rigidità eccessive subite negli anni di studio, può trovare l’intonazione più adeguata ad ogni tipo di situazione.

In musica, come in qualsiasi campo del sapere umano bisogna fare i conti con l’approssimazione*, ce lo dice la storia della matematica,  come le più moderne scoperte scientifiche: dal P greco (π) passando dalla teoria della relatività fino ad arrivare alla  meccanica quantistica.

Dunque direi di accettare le incongruenze musicali,  ricordandoci che anche l’esecuzione di una semplice terzina è un paradosso: è matematicamente impossibile dividere l’uno in tre parti uguali.

Marzo 2018 Giuliano Mariotti

*Quando i pitagorici scoprirono l’esistenza dei numeri irrazionali non furono per nulla contenti: La scoperta metteva in crisi non solo  le loro convinzioni filosofiche, ma anche il concetto di infinito della filosofia greca. Fu perciò proibito divulgarne la scoperta. Ippaso da Metaponto la divulgò e fu condannato a morte per annegamento.